Glazer, La negazione della banalità del male
La zona d'interesse, Meridiano di sangue, Safari





Hannah Arendt scrisse riguardo all'Olocausto che nessuno era responsabile, o meglio, nessuno vi si sentiva; facevano solo il proprio lavoro. Eichmann stesso si sentì vittima di un'ingiustizia, ed era profondamente convinto di star pagando per le colpe degli altri: dopotutto, lui era solo un burocrate che faceva il proprio lavoro, ed incidentalmente, questo coincideva con un crimine.
Questa è la banalità del male. Ognuno scarica la responsabilità sull'altro, vivendo il proprio atto malvagio come un fatto qualunque, banale, parte di una routine quotidiana.
Il film La zona d'interesse ribalta completamente questa prospettiva. Dietro l'apparenza di normalità, ostentata attraverso tutte le inquadrature (posizione della mdp. scenografie, costumi), si nasconde una lampante verità. Tutti i nodi vengono al pettine.
Sembra che i componenti della famiglia Hoess non si rendano nemmeno conto che accanto loro orto idilliaco la ciminiera mandi sbuffi di morte.
Sembra, ma non è così.
Ad ogni sbuffo di morte loro godono, perché ogni sbuffo è la dimostrazione, così credono, della loro superiorità. A scanso di equivoci la moglie vuota il sacco, minacciando la
serva:


Potrei dire a mio marito

di spargere le tue ceneri nei campi


Parole che pesano come macigni, scagliate su ogni spettatore in sala.
Del resto che dire del Comandante Hoess che al tavolo da pranzo studia con gli esperti le planimetrie dei forni crematori per cercare di migliorarne la "resa" ?
Le vittime come numeri di un'equazione.
Li chiamano carico.

Ricaricare la camera di combustione.

Non c'è ombra di dubbio: non si possono pronunciare parole come queste con indifferenza. L'indifferenza è bandita. Parole come queste si possono pronunciare solo come atto di consapevole efferatezza. Nello stesso momento in cui la parola carico ti esce di bocca, tu stai declamando la tua superiorità rispetto a un essere inferiore, in realtà tuo simile, ma che per te è solo carico.
Non si può equivocare su tale intenzionalità.


Può esistere dunque la banalità del male?
Il caso ha voluto che mi capitasse in mano un libro di McCarthy.
Meridiano di sangue. L'autore descrive senza mezzi termini un universo a noi lontano, appartenente al Far West del 1850. Si tratta di un inferno. I cavalieri, una spedizione di cacciatori di taglie, attraversano un paesaggio disseminato di orrore: teste mozzate appese alle facciate delle chiese, cadaveri divorati dagli avvoltoi, ovunque. Ogni giorno la scena si ripete. E loro nulla, come niente fosse. tirano dritto. Quando arriva il loro turno, fanno di peggio. Commettono atrocità in rapida sequenza, freddamente. Capiamo che sentono di non aver scelta. E' la loro vita: come animali che debbono uccidere per non essere braccati.
In questo contesto davvero i mostri sembrano non essere per nulla consapevoli del male che stanno compiendo. Anzi non si tratta nemmeno di male. Non c'è scelta. Nessuna alternativa.
Potrebbero starsene in casa barricati come i poveri messicani nelle baracche. Invece hanno scelto di stare fuori e cacciare. Ma, dalla loro prospettiva, non hanno scelta. Quella è l'unica modalità di vita che conoscono.
Quindi quel Far West è il regno della banalità del male.

Ma era il West senza legge del 1850.
Si può dire la stessa cosa del 1945?
Di certo non si può dirlo della famiglia Hoess nel film. Caratteristica inequivocabile del nazista è esercitare la propria superiorità consapevolmente. Non una superiorità dovuta a meriti, ma una superiorità dovuta alla razza. Di matrice puramente
elettiva.

Un altro film che stimola la riflessione sulla banalità del male è lo splendido Safari di Siedl.
La telecamera imparziale e oggettiva riprende alcuni di gruppi di cacciatori durante un safari in Africa. Non vi è presente alcuna forma di giudizio morale. Non si tratta di mettere in discussione la caccia. L'unico punto di vista è quello dei cacciatori, ripresi durante l'attività e poi intervistati.
Quello che fa riflettere è come essi siano totalmente immersi all'interno del loro universo, la confraternita dei safaristi, come se tutto il resto il mondo fosse lontano anni luce, dimenticato. In quel momento sono talmente assatanati, rapiti da quello che stanno facendo, che non sembrano più nemmeno accorgersi della telecamera che li riprende, per mostrare al mondo quello che stanno dicendo. Sembra che in quel momento si siano costruiti una corazza addosso, capace di preservarli dal giudizio dell'altro.
Il fatto che sia giusto o sbagliato cacciare non ha niente a che vedere con il film, che si propone di scandagliare l'
assolutismo, ferreo, della convinzione
dei protagonisti.
Non c'è altro modo di esistere se non quello.
Forse la banalità (del male), se esiste, quando esiste, è simile all'incapacità di percepire, di prendere in considerazione, alt
ri punti di vista al di fuori del proprio ?

LT


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