Oz Perkins,
Longlegs, 2024
Quando ero piccolissimo ho guardato di nascosto un film horror che si chiamava Le due sorelle. Di sicuro non l'ho visto tutto, ma mi è rimasta impressa, indelebile, una scena. In una specie di sogno, come un filmino amatoriale, il chirurgo decide di dividere le due gemelle siamesi. A un certo punto compare una mannaia, di quelle da macellaio. Non è stata tanto quella a farmi così paura. Più che altro si è trattato di quell'effetto cinepresa, che mi pareva potesse trasportarmi in un mondo lontano, onirico, fatto di ricordi. Era esattamente il modo in cui vedevo io i miei ricordi.
Solo molti anni dopo sono riuscito a recuperare quel film di Brian DePalma, che sembrava diventato introvabile. Ho scoperto con emozione che quella scena, che credevo di ricordare, c'era veramente. Purtroppo raramente ho ritrovato questa tecnica particolare nei film che ho visto da grande.
Ebbene: Longlegs, con mio grande entusiasmo inizia proprio in quel modo. Dopo che lo schermo si è tinto di rosso, parte una specie di filmino Super 8, in alta definizione, con il formato quadrato e i bordi stondati. Non è niente di così apparentemente pauroso, a differenza del mio riferimento preferito. C'è una casa bianca di legno, bellissima, immersa nella neve. Bianco su bianco, tono su tono. Una bambina gioca nel prato imbiancato con indosso una giacca vento colorata, di quelle anni settanta, inconfondibili. Poi compare una Ford station wagon 174, la macchina più bella del mondo, quella marrone e beige con gli innesti in radica nelle portiere. Niente di apparentemente terrificante. Eppure lo spettatore cade in uno stato d'ansia, solo per il fatto che anche quel filmino puzza di ricordo orrorifico, e poi c'è la casa che sembra quella di Psyco, la neve, l'isolamento, la bambina con la giacca a vento rossa, da sola nel bosco. Un terribile presagio, di per sé. Tutti in sala hanno un presentimento.
Senza aggiungere altro riguardo alla trama, mi limito a dire che raramente ho visto delle inquadrature così belle. Sono super le location, molto stile nordamerica, le classiche casette ai lati delle strade, alla Stephen King, con il vialetto e il giardinetto. Sono super le inquadrature, quei campi lunghissimi, coi grandangoli esasperati anche negli interni. C'è il fienile classico americano che per me è la migliore architettura che l'uomo ricordi. C'è la cantina strapiena di utensili. C'è il negozietto quello che vende di tutto, una specie di ferramenta da asporto. Non ci fanno mancare nulla. Poi ci sono le musiche, tipo inquietante musica spettrale, composizioni di musica contemporanea, effetto Shining. Al posto dei consueti jump scare ci sono dei rumori accidentali che nella sala fanno saltare tutti per aria. Alla fine si tratta di un piatto posato su un tavolo. Perkins punta tutto sulla tensione crescente e se ne strafrega degli effetti speciali, dei mostri e dei cliché da film horror. Punta tutto sull'atmosfera, costruita con preziosa dovizia. Sa tenere in pugno la macchina da presa, la governa. L'inquadratura che sembra fissa in realtà si muove, strisciando verso il soggetto, come un rettile. Questa è la paura in un film. Ci sono due tipi di pellicole, due sottogeneri: quelle in cui il regista non compare, sparisce, e quelle in cui sai che lui c'è e ti sta facendo vedere ciò che vuole, alla sua maniera. Tipo Hitchcock, che sta lì con te tutto il tempo e quasi ti spiega cosa sta girando e perché. O Kubrick, che sceglie di sottomettere la trama e i personaggi alle sue mirabolanti riprese.
Oz Perkins, figlio di Psyco, sa mettere ogni cosa al suo posto. Probabilmente come pochi al mondo. Il montaggio è una sinfonia.
Sì, Le due sorelle non era male, c'era una scena davvero maestosa.
Longlegs è uno dei film più belli che io abbia mai visto.
Ma se la paura, quella vera, non è roba per voi, lasciate perdere.
LT
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