LIMINALE è una delle categorie estetiche che si stanno imponendo nell'inizio del terzo millennio. Non è la categoria predominante, ma si sta facendo strada.
Chi sa cos'è il liminale?
Difficile a dirsi.
Uno spazio liminale, in urbanistica, è una fascia più o meno ristretta di confine tra due aree distinte. Potremmo dire che corrisponde all'archetipo della SOGLIA. Un filtro intermedio tra due spazi, che sono due forme diverse di esistenza. Un individuo posto in una soglia è una sorta di crisalide, sospesa tra due fasi, in piena mutazione.
I maestri della fotografia mondiale hanno saputo cogliere le forme che meglio simboleggiavano questo passaggio dimensionale. L'apporto più significativo è stato quello del nostro Luigi Ghirri, ma non dimentichiamo Guido Guidi.
Il filosofo Carlo Sini ha saputo descrivere quello che accade mentre si è dentro questa soglia.
Il grande pubblico, con particolare riferimento alle nuove generazioni, ha esteso l'utilizzo del termine liminale, arricchendolo di altri riferimenti, più o meno coerenti con l'idea iniziale.
In realtà ognuno ha coniato la sue definizione.
Per uno liminale è uno spazio vuoto, che in quanto tale provoca disagio.
Per un altro è uno spazio che è vuoto (come sopra), ma che dovrebbe essere correlato alla presenza di esseri umani.
La questione si fa più interessante.
Prendiamo un parco giochi per bambini. Non è tale se non ci sono i bambini. Lo scivolo privato dei bambini appare diverso. Se ne era già accorto Luigi Ghirri in tempi non sospetti, in anticipo di decenni rispetto a queste teorie liminali d'"avanguardia". Forse per lui il parco gioco vuoto possedeva un potenziale: era in attesa che potesse accadere qualcosa (e questo era decisamente liminale).
La questione si fa più interessante.
Prendiamo un parco giochi per bambini. Non è tale se non ci sono i bambini. Lo scivolo privato dei bambini appare diverso. Se ne era già accorto Luigi Ghirri in tempi non sospetti, in anticipo di decenni rispetto a queste teorie liminali d'"avanguardia". Forse per lui il parco gioco vuoto possedeva un potenziale: era in attesa che potesse accadere qualcosa (e questo era decisamente liminale).
I più oggi trovano che lo scivolo vuoto sia inquietante. E questo si ricollega all'altra categoria estetica emergente: la categoria del disturbante. Piace quello che rende inquietante. Siamo attratti da ciò che ci fa più paura. Ma in questo momento non intendo chiedermi il perché.
Una terza possibilità del liminale è lo spazio abbandonato. Fabbriche abbandonate, ospedali dismessi, cliniche psichiatriche in rovina. La centrale di Chernobyl, con i quartieri adiacenti, è l'icona (culto) degli amanti del genere, pronti ad affrontare un complicato, nonché forse nocivo, pellegrinaggio per vedere e toccare con i propri occhi.
Queste tipiche location, già protagoniste da decenni della cultura del Riuso Urbano, sono ora la scenografia perfetta di quel cinema che viene definito Liminal horror.
Parrebbe dunque che il cinema liminal possa essere circoscritto all'utilizzo di determinate location.
In realtà, giusto per complicarcela, notiamo che c'è uno stretto legame tra ciò che si intende liminale e ciò che si intende Creepypasta: un genere horror (ma non solo) che nasce a livello amatoriale (spesso in appositi forum dedicati) e viene diffuso attraverso un copia ed incolla. Una specie di auto produzione dal basso. Spesso prodotti sono classificabili come New Weird: mischiano horror, fantascienza e paranormale, seguendo l'esempio di quella corrente letteraria anni '90 che si è ispirata più di tutti al genio di Lovercraft.
Unite il liminale ai luoghi abbandonati, al Creepypasta e al New Weird e il gioco è fatto.
Luca Terraneo
#LIMINALE #cinemaliminale #liminalmovies #creepypasta