I libri di scuola ci hanno insegnato che Kafka è il più grande scrittore del Novecento. Ci hanno detto che lui ha profetizzato l'angoscia che attendeva l'uomo moderno, la dissoluzione delle civiltà, l'alienazione. I racconti di Kafka sono meravigliosi: ti spalancano una nuova visione della vita, più acuta. Ti insegnano a riconoscere il vero nemico. La colonia penale, La costruzione della muraglia cinese, Le sirene, Il messaggero dell'imperatore, La regina dei topi. Vengono i brividi soltanto a ricordarne i titoli.
Il castello è il suo grande ultimo romanzo, incompiuto ma definitivo, contiene tutte le risposte. Un uomo, un agrimensore, viene convocato. Non sa da chi, non sa per quale compito. Alloggia in squallide osterie dove tutti sembrano complottare alle sue spalle. Lui cerca di svelare il mistero, di capire chi l'ha chiamato e quale sia il suo ruolo. Ma non c'è niente da fare. Intorno a lui solo il vuoto, un villaggio disperato: ubriaconi, baldracche, scarti dell'umanità. Vigliacchi.
Il castello è il senso stesso della propria esistenza, che sfugge. che, per quanto lo inseguiamo, scappa via.
Il finale?
Non c'è.