Gus van Sant, Last days, 2004

 Gus van Sant, Last days, 2004

 

 

Ecco, ci sono cascato di nuovo. Ho rivisto per l'ennesima volta Last Days. Chissà perché di solito l'ispirazione mi arriva prima di partire per qualche viaggio. Non me lo sono mai spiegato. Di certo c'è qualcosa che mi attira nella fotografia, incredibilmente naturale, quasi "insignificante".
Gus Van Sant è il poeta del grunge, alla pari dei Nirvana, coi quali ha condiviso un percorso. Il grunge è apparente trasandatezza, spazzatura, scarto.
Il film racconta gli ultimi tragici giorni di Kurt Cobain, il leader dei Nirvana. Inizia con un inquadratura distante di lui che si trascina lungo una scarpata, a peso morto, fino a finire nell'acqua del fiume, in cui nuota e si lava. Sembra che sia in pigiama, in ogni caso poco presentabile. Dopo che è rotolato per terra diverse volte, ha la maglietta coperta di fango e, manco a dirlo, non se la cambia. Ma non è la sciatteria che si nota in lui. Il particolare che salta all'occhio è che è strafatto. Non si regge in piedi. Pare cercare nella natura selvaggia, rigenerante, l'ultima salvezza, ma non vi riesce. Ormai non è più padrone di se stesso. Ci sono un paio di scene particolarmente impressionanti: quella in cui cade col rastrello in mano, senza quasi rendersene conto, e quella in cui, vestito da donna, si accascia lentamente sulla poltrona, assente, vegetale. Come si comporta il regista ? Sceglie di conseguenza: la villa che ospita i Nirvana (forse lì per registrare) è fatiscente, eppure per certi versi bellissima nella sua decadenza, degna di una rivista patinata. Il frigorifero è decrepito. In cucina l'intonaco cade a pezzi. Eppure le sedie, le poltrone, i letti sono da sogno. Questo ambiente in rovina ben si addice ai protagonisti. Gli altri componenti della band non appaiono molto più lucidi del leader della band. Nella prima scena in cui appare Courtney Love (Asia Argento) vediamo che dorme abbracciata a un altro in pieno giorno. Come inconsapevoli del senso del tempo che scorre. Sembrano tutti degli zombie.
La fotografia ?  Ovvio, è apparentemente sciatta, casuale. Luci naturali, interventi minimi. Come una e usa e getta. Grunge. Eppure è geniale: non c'è bisogno di nessun effetto speciale se si sa cosa inquadrare e come inquadrarlo.
Lezione di poesia: il frigorifero ruggine; il muro scrostato; la sigaretta tra le dita, non fumata, che finisce, come un simbolo nefasto; il fucile che ritorna di continuo, cercato dall'occhio indiscreto.
E le riprese: la camera che compie un giro di 360 gradi attorno a Kurt, mostrandolo da tutte le angolazioni, come per il Johannes di Ordet (là era il santo, qui forse il diavolo, resurrezione e decadimento). Poi ci sono le consuete ripetizioni alla Van Sant: come in Elephant e in Paranoid, la stessa ripresa viene mostrata più volte. Kurt seduto su un tronco presso la riva del fiume. Kurt in stato comatoso dietro la porta che la blocca. In questo caso la scena viene mostrata in due momenti diversi da due angolazioni diverse, con significati che si completano a vicenda. Stessa cosa mentre Kurt è seduto alla batteria: un dialogo mostrato due volte, ma montato diversamente. Poi c'è lo zoom all'indietro, che mostra Kurt attraverso la finestra che improvvisa impazzito (ma c'è dell'arte, inutile negarlo) e Van Sant che ci suggerisce, allontanandosi, che Kurt resta sempre più isolato in se stesso.
Ricordo anche una maestosa inquadratura nella luce blu crepuscolare, un flash.
E poi c'è il pedinamento. La cosa che amo di più del grande regista americano. Segue il personaggio attaccato dietro alla schiena, lo segue per i sentieri, nei corridoi, sulle scale. Non contento, sbircia dietro alle porte.
Adoro queste riprese. Mi trasmettono la sensazione di spiare, di essere una mosca che vola nella villa. Stessa cosa che nei film di Fassbinder, l'uomo che guarda attraverso le porte.
C'è qualcosa di grandioso.
Fai un film sui Nirvana e non ci metti della musica? Quasi tutto in silenzio. Minuti e minuti, di passeggiate, in cui non accade nulla. Ma questo è il bello.
Chantal Ackermann ha girato negli anni '70 un film sulla giornata insignificante (?) di una donna qualsiasi. Lo aveva sentito nominare solo chi si interessava a quella cosa misteriosa chiamata videoarte. Poi
, qualche anno fa, una rivista famosa  piazza (colpo a effetto) quel film in testa alla classifica dei migliori film di sempre. Primo posto. Film più bello di tutti i tempi. Nell'ambiente si diceva che nemmeno la Ackermann stessa avesse visto il girato del suo film (diversi giorni) per intero, ma fa parte della leggenda. Trattasi di opera concettuale. Il film consiste in una persona sconosciuta che forse non fa niente di rilevante, ma la novità e che ci sei tu che la spii. Entri nella vita di un'altra persona. Una performance, alla Abramovic, se vuoi.
Gus Van Sant ribalta il discorso: entri nelle ultime 24 ore (accorciate) di una persona e quella persona è una leggenda del rock (affatto sconosciuta). Se sparigli le carte, il concetto cambia?
Lei riprende una persona insignificante, io una persona che ha influenzato milioni di persone. Cosa cambia?



 

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