Stephen King, La nebbia


Dopo che la tempesta ha abbattuto mezza foresta, una strana nebbia avvolge la città. Alle casse del supermercato ci sono code inaudite, tutti cercano di fare provviste, temendo ulteriori disastri in arrivo. Ma all'improvviso la nebbia arriva alla vetrina all'ingresso, ci si preme contro, minacciosa. I clienti rimangono bloccati, e sono presi dal terrore. Non sanno di cosa si tratti, forse meglio non rischiare, meglio restare dentro. Così abbiamo decine di persone che non necessariamente si conoscono, non tutti, chiusi dentro un supermercato, e che non sanno come comportarsi. Direi che gli ingredienti per una storia eccezionale non mancano. Più che altro per via dell'eterogeneità del gruppo, per via delle divergenze di opinioni, dei diversi temperamenti.
Inevitabilmente si creeranno delle fazioni, penso. Questo è l'aspetto che forse mi intriga di più. E se poi complottassero di nascosto, dietro agli scaffali, ognuno per conto proprio con i relativi seguaci... ?
ALLERTA SPOILER !
Inutile dire che ha catturato il mio interesse il capannello che si forma intorno alla signora Carmody, la vecchia strega che sbraita ai quattro venti rivelazioni sulla fine del mondo, e che in una situazione estrema rischia di seminare proseliti.
Cento pagine di pura introspezione psicologica, tormentata quanto basta.
Il finale è molto diverso rispetto alla celebre versione cinematografica di inizio millennio, personalmente l'ho gradito molto.
Ovvio che King è King, anche nella peggiore delle situazioni trova sempre uno spiraglio di luce, una possibilità di sopravvivenza che rende gli esseri umani eroi.

Semplicemente il Dio dell'architettura 

senza eguali

Peter Zumthor 











Alonso Ruizpalacios, 

ARAGOSTE A MANHATTAN, 2023

(LA COCINA)



Alonso Ruizpalacios, già noto per il talentuoso Gueros, di grande successo nei circuiti di cinema indipendente, e per Museo, Folle rapina a città del Messico, torna con un'opera ancora più autoriale delle precedenti. Sceglie la strada del bianco e nero e del virtuosismo tecnico, impregnandola di emozioni esplosive e di recitazioni tiratissime, estenuanti per attori e spettatori. Se fosse un quadro sarebbe espressionismo, magari un urlo di Munch.  
La cucina che dà il titolo al film è quella di un ristorante di Manhattan. Una cucina infernale, nel senso buono e cattivo del termine. Un crogiuolo di razze, colori della pelle, lingue. Il meltin'pot allo stato puro. 
Il film inizia con l'arrivo di una ragazzina messicana, che si candida per un colloquio. L'avrebbe mandata a chiamare, così dice, un cugino che lavora lì come chef. La ragazza percorre un lunghissimo e labirintico corridoio che pare interminabile, immerso nel buio, stretto, soffocante. Capiamo subito che il tema è la claustrofobia, trasmessa così intensamente da essere avvertita nelle viscere dello spettatore. Senso di asfissia. Il colloquio è un interrogatorio della Gestapo, ma alla fine viene accettata. Si reca nella cucina, così finalmente la vediamo: i cuochi sembrano stipati dietro un bancone come se fossero tanti soprammobili, spalla contro spalla, gomito a gomito. La sensazione è quella di una catena di montaggio. Ma l'essere così a stretto contatto rende in qualche modo solidali i lavoratori. Spesso si lanciano tra di loro in danze sfrenate di parolacce e insulti razzisti, ognuno nella sua lingua, e pare che si divertano tantissimo, tutti assieme maschi e femmine, tutti a insultarsi a vicenda e senza sosta. Un'indigestione di parole, urla, risate, volti tesissimi. Ogni cosa assume il sapore di lercio, di promiscuo. Ma regna comunque una sorta di fratellanza implicita, che tocca il cuore. La più evidente sensazione è che si tratti, lì dentro, nell'inferno, di una grande famiglia. Anche se la polveriera è sempre a un passo dall'esplodere. 
Tante le sequenze memorabili: quando la cucina si inonda e tutti continuano a lavorare di corsa come se niente fosse. Poi nel vicolo, quando in pausa si confidano, seduti per terra, con le scale antincendio che paiono anch'esse scenografie di gironi infernali. E poi c'è il finale, quel finale, in cui Pedro esplode. Quella scena lì, quel piano sequenza, fatevi un favore di non perderlo, perché è già Storia.
 








Sisu è un termine finlandese che si può tradurre in italiano con espressioni quali: forza di volontà, determinazione, perseveranza e razionalità. Manca una traduzione più precisa. Sisu è una parola chiave per capire la cultura finlandese. La parola deriva da sisus, che significa intimo, interiore. Significa coraggio estremo di fronte a ostacoli insormontabili. È più che un semplice hartia pannki, coraggio fisico. Ci vuole forza interiore, e ottimismo e capacità di resistenza e un bel po' di quell'ostinatezza tipica del mulo, quel tipo di testardaggine che permette a un uomo a cui è stata diagnosticata una malattia incurabile di sopravvivere ai suoi medici. Forse non vinciamo sempre, dice la sisu, ma sicuramente non perderemo mai.




 TOP GUN

Tony Scott, 1986




Oltre la cortina di ferro, questi film che apparivano dozzinali agli occhi di noi occidentali, sortirono l'effetto opposto: dato che, per ovvi motivi, erano severamente proibiti dalla censura, presto iniziarono a circolare sul mercato nero. Intere famiglie si ritrovavano nell'appartamento di chi aveva il videoregistratore per vedere di nascosto ciò che era proibito: il mondo occidentale. Coca- cola, motociclette, auto di proprietà, vestiti, fast-food. Nell'Europa dell'Est il cinema americano illegale è diventato un fenomeno di massa, che secondo la tesi, documentata, di Ilinca Călugăreanu, è all'origine della rivolta che ha portato alla dissoluzione della cortina di ferro.
Tra questi film americani c'era Top Gun. 


Io lo ammetto, ho sempre pensato che Top Gun fosse solo un film pieno di esibizioni cariche di testosterone e di bulli da due soldi. Discorso a parte la colonna sonora, bellissima: avevo anche la cassetta. Poi, da grande, ho scoperto che per molti dei miei coetanei aveva assunto un significato diverso. Nei paesi dell'Est circolava solo sul mercato nero, e quindi era diventato il simbolo della libertà, incarnato da quelle incredibili acrobazie di caccia che tuonavano nel cielo. 
La libertà. 
Maverick, è uno sbruffone. Tom Cruise lo rende alla perfezione. Non sta alle regole, mai, nemmeno in volo, creando lo scompiglio. Il suo avversario, interpretato da Val Kilmer, è un duro, ma disciplinato. I due gareggiano ovunque, anche sulla sabbia del beach volley, esibendo muscoli a più non posso. Anni Ottanta... 
C'è da dire che gli istruttori sono geniali. Uno più bravo dell'altro. I loro discorsi sono da cineteca. Io adoro il primo, quello delle selezioni, per le sue battutacce a effetto. Poi c'è Michael Ironside, grande attore, vedi Scanners.
Poi c'è 'istruttrice sexy. All'inizio Maverick ci prova sfacciatamente con lei in un bar, completamente ignaro del ruolo che assumerà il giorno dopo in Accademia. Una bella trovata, immaginatevi la faccia di Maverick quando lei sale in cattedra. Ma in ogni caso la brava prof. se lo mangia con gli occhi. Così inizia l'interminabile flirtare, un tira e molla che ci tiene impegnati per metà film. Gli sguardi che scambiano sono più roventi di mille scene 
dai più noti film scandalosimesse assieme .  
Poi ci sono le missioni, appunto. E le canzoni. Parte Take my breath away, e voi alzate il volume, raccomando. 

Yodas Crew 

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 TROLL HUNTERAndré Øvredal, 2010




Tutto vero: nel 2009 sono stati ritrovati dei filmati ripresi da alcuni giovani giornalisti emergenti poi misteriosamente scomparsi. Il governo norvegese ha messo a tacere il contenuto dei nastri, facendo sparire tutti gli autori.
Cosa mostravano i filmati? L'esistenza dei troll. I troll, che si dividono in sei specie sconosciute, abitano le zone montuose disabitate, per lo più al centro della Norvegia. Non immaginatevi esseri simpatici. Sono molto aggressivi, soprattutto quando contraggono la rabbia. Sono molto simili ai troll come vengono tramandati dal folklore scandinavo, col caratteristico grande naso. Una specie però ha tre teste, di cui in realtà le due laterali sono finte, servono solo a spaventare gli animali. Un'altra specie si caratterizza per le dimensioni spropositate: 50 o cento metri, o giù di lì. 
Come li hanno scoperti i nostri eroici giornalisti? Seguendo un tale, sospettato dai media di essere un bracconiere, che in realtà è stato incaricato direttamente dal governo di sterminare i troll che escono dalle zone disabitate e si avvicinano pericolosamente ai centri urbani. Ciò accade sempre più spesso, per via dei cambiamenti climatici e del buco dell'ozono, visto che i troll soffrono la luce. 
Anche i se i troll non vi interessano, e non vi interessa sapere a che pericoli andiamo incontro, sappiate che ignorando questo documentario rischiate di perdervi alcuni dei panorami più belli che abbiate mai visto: fiordi immersi nella nebbia, coperti di neve, circondate da meravigliose foreste di conifere. E poi roulotte, campeggi, cabine in legno. Tanto trekking ed esplorazioni notturne di boschi. 
Vedendo questo documentario vi verrà voglia di passare un week-end in camper presso i boschi, magari in Trentino, o in Svizzera, o anche in Norvegia. 
Tra parentesi: le scene con troll fanno veramente paura, pur essendo esenti da splatter, e le immagini sono semplicemente tra le più belle mai viste su un grande schermo. Il finale è qualcosa di incredibile: appartiene a un altro mondo. 
Troll hunter non è solo un film, è il capolavoro del mockumentary

Yodas Crew


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disponibile (a pagamento) su: Youtube, Google Play, Apple, Rakuten




 LA PAURA NEL CINEMA

DAVID LYNCH

(STRADE PERDUTE)




Per sapere cos'è la paura nel cinema dovete guardarvi un film di David Lynch, non c'è nient'altro da fare. Strade perdute, per esempio. Altro che Jump scare o sbalzi improvvisi di volume in sala pronti a spaccare i timpani di chiunque. E poi dicevano che ci rovinavamo l'udito in discoteca con la musica tecno. Beh, David Lynch non ha bisogno di questi trucchetti. Instilla la paura in qualsiasi spettatore con poco, con zero, o quasi zero, meno di niente. Al maestro basta avere un corridoio. Nelle case moderne purtroppo non mettono più i corridoi. Tranne che nelle villa scelta per strade perdute. I corridoi agli speculatori edilizi non servono a niente: solo spazio sprecato. Ti mettono un disimpegno qui, uno lì, e siamo a posto. Invece una volta proliferavano i corridoi. Nei corridoi proliferavano i fantasmi. I mostri. Le nostre più grandi paure. Di solito negli armadi, ma il budget di Strade perdute non prevedeva armadi extra. Nella villa minimalista superfiga niente arredi. Meglio così, dice Lynch, il vuoto fa più paura ancora. Insomma, per farla breve. Arriva Linch e si trova davanti un bel corridoio. Il che lo costringe a porsi una domanda: lo illumino oppure no? E così, non avendo a disposizione un faro per illuminare (che dite, ce l'aveva?) sceglie di spedire il protagonista nel corridoio buio. Armarlo con una torcia elettrica manco a parlarne. Gli dice di entrare piano piano nel corridoio buio mentre lui lo riprende di spalle. Già sto tizio di suo vaga in giro per casa continuamente in silenzio con l'ossessione, in parte giustificata, di trovarsi qualche intruso. Si aggira, già di suo, tra tendaggi di velluto rosso e gli immensi divani immersi nella penombra. La storia si ripete e l'ansia, in sala cresce, sempre di più. E così vi garantisco che, quando il tizio imbocca il suddetto corridoio buio, lo spettatore si caga in mano. 
Del resto del film non si capisce un cazzo, ma vi garantisco che è pura arte, così noi proseguiamo nella visione, convincendoci pure di avere una spiegazione per un film che spiegazione non ha. 
Signori, è David Lynch. 


Yodas Crew 
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