Ieri sera ho letto un post contenente questo stesso testo di Schopenauer che esorta a "selezionare" le proprie letture. Un testo meraviglioso. Incredibilmente ho notato, leggendo i commenti, che molti fraintendevano le chiarissime affermazioni del filosofo, in qualche caso anche deridendole.
Il mio intervento non vuole essere pedante ma, al contrario, è un invito (se vogliamo, quando vogliamo) a aprire gli occhi e renderci conto della meraviglia che abbiamo davanti, per non perderla.
Saltare le parole, leggere male, commentare per sentito dire, a volte, troppo spesso, ci induce, vale prima di tutto per me, a perderci la miniera d'oro che abbiamo davanti. Che sia un libro un film o un'opera d'arte. Ho cercato di commentare le singole affermazioni di S. imponendomelo come esercizio di lettura, un po' come si faceva a scuola.
I commentatori sostenevano che Schopenhauer volesse dire che non dobbiamo più leggere. Ho scritto in corsivo sotto ogni frase i miei brevi commenti in base a quanto ho capito.

"Leggere significa pensare con la testa altrui invece che con la propria.
Esatto, ineccepibile. Non ci è stato detto che ciò è negativo. Ci è stato detto che leggere è entrare nella testa di una altro per alcuni minuti.

Il furore di leggere libri della maggior parte dei dotti è una specie di fuga vacui, un fuggire dal vuoto di pensiero dei loro cervelli, che attira dentro a forza sostanza estranea: per avere pensieri devono leggerli altrove, come i corpi inanimati ricevono il movimento solo dall'esterno, mentre coloro che sono dotati di pensiero proprio sono come i corpi viventi che si muovono da sé.
Si precisa: non per tutti. "Solo per certi dotti", dove dotti si intende nel senso di eruditi, cioè che leggono molto ma non assimilano il significato profondo dei testi.

L'arte di non leggere è molto importante. Essa consiste nel non prendere in mano quello che di volta in volta il vasto pubblico sta leggendo, come per esempio libelli politici e letterari, romanzi, poesie e simili cose, che fanno chiasso appunto in quel dato momento e raggiungono perfino parecchie edizioni nel loro primo e ultimo anno di vita.
Si dice di non leggere ciò che il vasto pubblico sta leggendo, nel senso che il vasto pubblico spesso legge solo ciò che fa chiasso.

"Pretendere che un individuo ritenga tutto quanto ha letto è come esigere che porti ancora dentro di sé tutto quanto ha mangiato. "
Certo, non si trattiene tutto ciò che si legge, ma solo ciò che è essenziale per il nostro essere. Come il cibo. Per il resto c'è il bagno.

 
"Le persone che hanno passato la vita leggendo e hanno attinto sapienza dai libri somigliano a coloro che, da un gran numero di descrizioni di viaggi, hanno acquistato la conoscenza precisa di un paese. Queste persone riescono a comunicare notizie su molte cose; ma, in fondo, non hanno una conoscenza coerente, chiara e profonda circa la natura di quel paese. "
Le persone che hanno attinto la "sapienza", distinta dalla conoscenza profonda, hanno acquistato notizie su molte cose, ma non le hanno comprese in profondità.
"Sarebbe bene comprare libri, se insieme si potesse comprare il tempo per leggerli, ma di solito si scambia l'acquisto di libri per l'acquisizione del loro contenuto ".
Vero, spesso si scambia l'acquisto per l'acquisizione del contenuto, ma per acquisirlo è necessario leggerli.

 
Le citazioni sono state estrapolate da un sito che le ha liberamente tratte, così leggo, da "L'arte di insultare" di Schopenhauer. Tra l'altro proprio poco prima stavo scambiando due parole su un autore con un'accanita lettrice dello stesso, che non ha per nulla apprezzato il testo che io lodavo in modo particolare. Mi ha scritto che in quel libro non si nominava affatto il personaggio che citavo, che mi confondevo con qualche altro libro. Ho persino controllato, arrivando con la ricerca del tablet fino alla centesima citazione di quel personaggio nel testo. A quel punto le ho consigliato di riguardarlo e lei mi ha risposto "No, non mi è piaciuto, non lo rileggerò. Tu ti sbagli". Ora non importa a nessuno che la signora rilegga o meno il testo. L'unica cosa che mi dispiace è che si è persa per strada uno dei testi migliori del suo autore preferito, solo perché ha saltato un mucchio di pagine, l'ha "a malapena" sfogliato.
Ho citato anche questo piccolo episodio, perché mi è capitato pochi minuti prima di leggere il bellissimo testo di Schopenauer, che parla proprio dell'attenzione posta alla lettura, dell'utilità di "assorbirla" come si deve.

  

THE YORKSHIRE RIPPER




Leeds 1975. Siamo a Chapeltown, un quartiere a luci rosse. Lì vivono operai ed immigrati, nelle tipiche casette a schiera inglesi, tutte uguali, tutte di mattoni, un piccolo giardinetto sul davanti, un altro sul retro. Poi c'è un campo di calcio, con un bel parco tutto intorno. Vicino al campo di calcio, in prossimità di una collinetta una mattina qualcuno rinviene un cadavere. Una giovane donna: Wilma McCann. Il fatto che colpisce è che abita soltanto a un minuto a piedi da lì, in una delle prime case a schiera sulla strada.
Sorgerebbero spontanee delle domande: il killer la conosceva? Faceva parte del suo ambito familiare? Oppure: lei era appena uscita di casa? Insomma, perché il suo corpo si trova proprio in quel punto ?
Wilma è madre di 4 figli, tutti piccoli. Il padre, forse il primo al quale si potrebbe pensare, non vive più con loro, da tempo, è sparito, irrintracciabile, ma non ha nulla a che vedere con l'omicidio.
Wilma è stata uccisa a martellate e il killer ha infierito colpendola decine di volte con un oggetto contundente. Potrebbe sembrare un delitto a sfondo sessuale, ma non è così. Forse il killer lo vorrebbe far credere, ma non si tratta di quello. L'accanimento è sintomo di disprezzo, come se volesse fargliela pagare. Ancora viene da chiedersi: la conosceva? Si trattava di una questione personale? Oppure voleva punirla in quanto donna, come se fosse per lui un simbolo di qualcosa?
Per prima cosa verrebbe in mente di sentire tutti gli abitanti di quella strada, se qualcuno ha visto qualcosa, oppure se sa qualcosa. Una donna uccisa nei pressi dell'abitazione può anche far pensare a un vicino di casa. Una caratteristica del profilo appare chiara: si tratta di un uomo che odiava lei oppure che odia le donne, indiscriminatamente. Forse un uomo rude, dotato di forza, in grado di maneggiare con agilità una mazzetta, che ha un certo peso. Il fatto che non abbia occultato il cadavere fa propendere per un certo grado di esibizionismo. Vuole farsi notare. Se così è, potrebbe ripetersi. Sembra quasi che abbia costruito una messa in scena, a favore di telecamera.
Difatti finisce subito su tutti i giornali. La polizia afferma che Wilma era una prostituta. Del resto siamo in un quartiere a luci rosse. Wilma esce la sera e si reca al pub, lasciando i quattro figli a cavarsela da soli. La polizia dice: beveva tanto, lasciava i figli soli, usciva da sola senza un uomo, era una prostituta. Subito: il killer delle prostitute.
Un errore che costerà caro alle forze dell'ordine. Solo il primo di una lunga serie di errori. Combinati al continuo avvicendarsi ai vertici delle indagini, provocherà il disastro.
Una, due, tre, dieci vittime. Tredici vittime.
La prostituzione c'entra, certo. In qualche modo. Bisogna leggere il contesto, che è la tremenda crisi economica che colpisce l'Inghilterra negli anni '70. Licenziamenti, scioperi, proteste. L'aumento del costo della vita. Molti non riescono a arrivare a fine mese, non sanno come sbarcare il lunario. Soprattutto in questa zona, con tanti operai licenziati, carenza di lavoro. Non è raro che donne qualunque decidano di prostituirsi per la disperazione. Anche madri. Il marito ha perso il lavoro e persino lui è d'accordo che la moglie cominci a prostituirsi. Magari solo una volta o due, per pagare le bollette. Questa è la storia della seconda vittima.

Tredici vittime, tra il 1975 e l'inizio degli anni '80, a cadenza regolare. Gli indizi a carico del serial killer, elencati dalla stessa polizia, come un mantra da ripetere (e ripetersi) continuamente sono: l'impronta di una scarpa numero 40 e mezzo, stivale Dunlop consumato, rinvenuta sulla gamba di una vittima. Impronte di pneumatici lasciate nel fango. E Basta. Perché in realtà loro ne aggiungono altri, ma non si tratta di indizi certi: un auto sportiva tipo muscle car, forse una ford Mustang o simile, sulla quale alcuni testimoni avrebbero visto salire una vittima.
I primi delitti avvengono a Leeds, ma poi il killer si sposta in altre città, anche a più di un'ora di distanza. Facile associare questa variazione nello schema del killer all'ingombrante monitoraggio della polizia nelle zone di prostituzione di Leeds.
Poi, col tempo, si aggiungono altri indizi, sempre più approssimativi. La polizia riceve delle lettere, firmate ripper, squartatore. Dicono che nelle lettere ci sono le prove che si tratti di lui. Non è vero. Ricevono anche un nastro. Il killer racconta. L'accento è geordie. Un esperto linguista afferma con sicurezza che quell'accento è diffuso soltanto in una piccola cittadina, in un'area estremamente ristretta, circoscritta. L'esperto ha ragione. Ma la voce del nastro è quella del killer ?
La polizia, fin dall'inizio, sceglie di diffondere la notizia sui media. Lancia appelli. Chi sa, parli. Aggiungono addirittura una taglia considerevole. Dopo qualche anno di insuccesso lanciano un progetto che consiste nel diffondere ovunque le lettere e la registrazione audio. Affissioni di manifesti, camioncini itineranti che si fermano in ogni piazza attirando un folto pubblico, con l'altoparlante che diffonde la voce dello squartatore. Qualcuno lo riconosce?
Un cacciatore di prostitute, dicevano. Hanno cominciato a chiedere nei pub, nei locali a luci rosse. hanno intervistato le prostitute, sempre restie a collaborare. Hanno piazzato infiltrati in incognito per le strade, di notte, nelle strade dove bazzicano i clienti. Nulla di nulla. Un dispiegamento di forze senza precedenti. Intervistate decine di migliaia di persone. L'archivio delle telefonate, tutte trascritte, diventa così pesante da rischiare di sfondare la soletta, tanto che gli ingegneri impongono di rinforzarla con altri pilatri supplementari.
Passano inosservate le sopravvissute. Diverse sono riuscite a sfuggire a un uomo che le ha colpite con un pesante martello. Forse arrivava un passante, forse un automobile ferma ha acceso le luci. Il killer le ha lasciate in una pozza di sangue ed è fuggito. Qualcuna di loro viene ascoltata, altre no. Non sono prostitute, quindi vengono ignorate. In realtà il killer non ha ucciso solo prostitute: una è un'impiegata, l'altra una studentessa. La prima, Wilma, non era una prostituta.
La polizia dice: lui caccia prostitute. Le due o tre eccezioni sono errori del killer. Un serial killer che caccia prostitute e non sa distinguere una ragazza "al lavoro" da una passante. Davvero curioso. Perché in realtà sceglieva in prevalenza prostitute? Semplice: lui vagava per le strade, in cerca di un'occasione. Lui non cercava persone. Cercava un sito: un luogo isolato dove poter colpire. Probabilmente continuava a girare in tondo con l'auto in quei luoghi fino a quando incrociava una ragazza sola, che magari stava tornando a casa a piedi dal pub dove era andata con le amiche. Bastano duecento metri. Come nel caso di Wilma, uccisa a un minuto da casa. Come nel caso della studentessa, uccisa a due minuti dal dormitorio, mentre tornava dal pub. Il modus operandi dunque consiste nello scegliere dei luoghi compatibili. Il killer conosce a Leeds tutti i luoghi compatibili, ma ne conosce altrettanti nelle altre città della provincia. Chi può conoscere così bene luoghi appartati e isolati in città così lontane tra loro? Un tassista, un autista, un camionista.
Le prostitute vengono ascoltate. Forniscono informazioni decisive per identikit, tutti simili, attendibili. Ben resto si conosce la faccia del killer. Porta la barba, nera, scura. capelli ricci a cespuglio, come un Harlem Globe trotter, anche se è bianco.
Un tipo così la barba non se la taglia. Non si toglie neanche gli stivali. Usa sempre quelli. Non cambia le gomme. Lancia la sfida.
La polizia si impunta su un tassista. Un tipo sospetto che ha cambiato le gomme all'auto, tanto che quando lo interrogano è posizionata su dei mattoni, sostituzione pneumatici fai da te. Peccato che quando lo trattengono in commissariato avviene un altro omicidio.
Poi, dopo la faccenda del nastro, si fissano sulla provenienza geordie, discriminando i sospettati in base a quello.
L'unica informazione davvero utile raccolta è legata una banconota da 5 sterline che il killer ha pagato in anticipo a una vittima, prostituta, che è riuscita a nasconderla in una tasca interna della borsetta. Lui se ne è ricordato, tanto che tornato sulla scena crimine per cercare di trovarla. Forse le impronte digitali, o forse altro. Il numero di serie. Una banconota nuovissima. Appena uscita dalla banca. Arriva l'esperto, questo davvero in gamba, che afferma che si potrebbe risalire a una serie di ditte che hanno pagato i loro dipendenti con quella precisa serie di banconote. Si dice che siano arrivati a fare il nome di un'azienda di trasporti. Camion. Un poliziotto indaga, si reca in quella ditta. Uno in particolare è identico all'identikit. La interrogano a fondo, ma lui dichiara di non essere un frequentatore di prostitute. Sembra un tipo a posto. Lo lasciano stare, per il momento. Al lavoro tutti lo prendono in giro e lo chiamano lo squartatore. Lui ride e dice a tutti che è vero. Ridono tutti. Verrà interrogato nove volte dalla polizia, sempre scagionato, anche perché non ha l'accento da geordie, per niente.

Si chiama Peter Sutcliffe.

Barba nera e capelli ricci folti.

Stivali Dunlop.

Camionista.

Lo squartatore dello Yorkshire.


Una notte lo fermano mentre è in macchina con una ragazza. Fermo lungo la strada. Il poliziotto si insospettisce perché si è accorto subito che la targa non può corrispondere a quell'auto. Perché ha contraffatto la targa? Tra l'altro, costituisce reato. Lo deve condurre in caserma. Lui gli dice che se la sta facendo addosso, ha bisogno di orinare. Il poliziotto gli indica un portone di una fabbrica. Non si accorge che Peter Sutcliffe nasconde nel soprabito una mazzetta da muratore, e che la abbandona dietro al bidone dell'immondizia.

Quando l'ha portato in ufficio i l poliziotto si ritrova a interrogarlo davanti all'identikit del killer, presente in tutti gli uffici. Lo guarda, lo confronta, vede che è identico. Risale subito sulla volante e torna sul luogo dell'arresto. Gli si è insinuato dentro un terribile dubbio. Scende, corre al portone. E trova una mazzetta. L'arma dei delitti.

In caserma, Peter Sutcliffe confessa 13 omicidi, li descrive nel dettaglio, minuziosamente. Inoltre confessa di non essere riuscito a finire altre 7 donne, tra le quali tutte quelle che avevano chiesto di essere ascoltate dalla polizia, ed erano state ignorate.

 


 


Domande da porsi:

- analisi del luogo

- analisi della scena

- profilo

 

indizi:

scarpa 40,5,

tracce pneumatici,

forse muscle car,

identikit,

accento geordie ?

banconota

 

 

#appuntinellaforesta #crime #yorkshireripper #petersutcliffe #serialkiller

Giurato n.2

 Clint Eastwood, Giurato n.2, 2024

 



Proprio in questi giorni distinguevamo tra due stili di regia: registi che ribadiscono la propria presenza, la propria leadership, allo spettatore, e registi che spariscono. Io non ho predilezioni. Mi piacciono sia Hitchcock che Clint Eastwood.
Giurato n.2 di sicuro appartiene alla seconda categoria, quella dei registi che "spariscono". Il buon vecchio Clint non fa nulla per annunciarci la sua presenza. Riprende, punto e basta. Ci mostra i fatti per quello che sono, senza nessun bisogno di commentare. Nessun virtuosismo visivo, nessun artificio particolare. Protagonista assoluto quel Minimalismo che traccia il sentiero dell'arte nel terzo millennio, la Categoria Estetica dominante.
Vengono scelti i giurati per un processo. Loro non sanno ancora di cosa si tratta, nemmeno noi in sala. Il titolo del film suggerisce di concentrare la nostra attenzione sul giurato n.2. Perché ? Clint ce lo dice subito: il giovane giurato è in realtà il colpevole del fatto, a cui l'imputato è completamente estraneo. Questo è l'incipit. Già nelle prime scene il numero 2 rivede la scena davanti ai suoi occhi, mostrandocela. Lui, con tutti noi in sala, si chiede se sarà il caso di confessare il crimine. Anche perché è stato un incidente. Non se ne era nemmeno reso conto: non aveva investito un cervo, ma una ragazza.
Il film cita la mitica pellicola La parola ai giurati, ma non si tratta solo di quello. La superstar del cast, Simmons, ex detective in pensione, ora giurato, prende in mano le redini del gioco. Continua a indagare, anche se non si può, non si deve fare.
Il nostro numero due è tormentato. Ha una moglie, aspetta una bambina. Dopo che hanno perso due gemelli. Il sogno di una famiglia finalmente si realizza, e ora capita questo. Conta più la Verita o la Giustizia? Perché la Giustizia, con la G maiuscola, non può decretare che un (incolpevole) incidente possa distruggere una vita e una famiglia. Puro Durrenmatt. Quesito esistenziale.

Clint Eastwood, si sa, non sbaglia un colpo.
Il suo è un film semplice, come sempre, basato su grandi interrogativi morali. Colpisce al cuore, come sempre, con tenerezza, con passione, ponendo domande che sono le domande di tutti, le domande chiave.
E, come sempre, centra il bersaglio.
In pieno. 

 



 

 

 Lago di Cavloc, Canton Grigioni  

veglie presso una fattoria

(con maialini)

 


#maialini #lagocavloc #grigioni #fattoria

longlegs

Oz Perkins, 

Longlegs, 2024 

 


 

Quando ero piccolissimo ho guardato di nascosto un film horror che si chiamava Le due sorelle. Di sicuro non l'ho visto tutto, ma mi è rimasta impressa, indelebile, una scena. In una specie di sogno, come un filmino amatoriale, il chirurgo decide di dividere le due gemelle siamesi. A un certo punto compare una mannaia, di quelle da macellaio. Non è stata tanto quella a farmi così paura. Più che altro si è trattato di quell'effetto cinepresa, che mi pareva potesse trasportarmi in un mondo lontano, onirico, fatto di ricordi. Era esattamente il modo in cui vedevo io i miei ricordi.
Solo molti anni dopo sono riuscito a recuperare quel film di Brian DePalma, che sembrava diventato introvabile. Ho scoperto con emozione che quella scena, che credevo di ricordare, c'era veramente. Purtroppo
raramente ho ritrovato questa tecnica particolare nei film che ho visto da grande. 
Ebbene: Longlegs, con mio grande entusiasmo inizia proprio in quel modo. Dopo che lo schermo si è tinto di rosso, parte una specie di filmino Super 8, in alta definizione, con il formato quadrato e i bordi stondati. Non è niente di così apparentemente pauroso, a differenza del mio riferimento preferito. C'è una casa bianca di legno, bellissima, immersa nella neve. Bianco su bianco, tono su tono. Una bambina gioca nel prato imbiancato con indosso una giacca vento colorata, di quelle anni settanta, inconfondibili. Poi compare una Ford station wagon 174, la macchina più bella del mondo, quella marrone e beige con gli innesti in radica nelle portiere. Niente di apparentemente terrificante. Eppure lo spettatore cade in uno stato d'ansia, solo per il fatto che anche quel filmino puzza di ricordo orrorifico, e poi c'è la casa che sembra quella di Psyco, la neve, l'isolamento, la bambina con la giacca a vento rossa, da sola nel bosco. Un terribile presagio, di per sé. Tutti in sala hanno un presentimento.
Senza aggiungere altro riguardo alla trama, mi limito a dire che raramente ho visto delle inquadrature così belle. Sono super le location, molto stile nordamerica, le classiche casette ai lati delle strade, alla Stephen King, con il vialetto e il giardinetto. Sono super le inquadrature, quei campi lunghissimi, coi grandangoli esasperati anche negli interni. C'è il fienile classico americano che per me è la migliore architettura che l'uomo ricordi. C'è la cantina strapiena di utensili. C'è il negozietto quello che vende di tutto, una specie di ferramenta da asporto. Non ci fanno mancare nulla. Poi ci sono le musiche, tipo inquietante musica spettrale, composizioni di musica contemporanea, effetto Shining. Al posto dei consueti jump scare ci sono dei rumori accidentali che nella sala fanno saltare
tutti per aria.  Alla fine si tratta di un piatto posato su un tavolo. Perkins punta tutto sulla tensione crescente e se ne strafrega degli effetti speciali, dei mostri e dei cliché da film horror. Punta tutto sull'atmosfera, costruita con preziosa dovizia. Sa tenere in pugno la macchina da presa, la governa. L'inquadratura che sembra fissa in realtà si muove, strisciando verso il soggetto, come un rettile. Questa è la paura in un film. Ci sono due tipi di pellicole, due sottogeneri: quelle in cui il regista non compare, sparisce, e quelle in cui sai che lui c'è e ti sta facendo vedere ciò che vuole, alla sua maniera. Tipo Hitchcock, che sta lì con te tutto il tempo e quasi ti spiega cosa sta girando e perché. O Kubrick, che sceglie di sottomettere la trama e i personaggi alle sue mirabolanti riprese.
Oz Perkins, figlio di Psyco, sa mettere ogni cosa al suo posto. Probabilmente come pochi al mondo. Il montaggio è una sinfonia.
Sì, Le due sorelle non era male, c'era una scena davvero maestosa.

Longlegs è uno dei film più belli che io abbia mai visto.
Ma se la paura, quella vera, non è roba per voi, lasciate perdere. 

LT


#longlegs #ozperkins #horromovies #depalma #psyco

 

Liminale
 
 

 
 
LIMINALE è una delle categorie estetiche che si stanno imponendo nell'inizio del terzo millennio. Non è la categoria predominante, ma si sta facendo strada.
Chi sa cos'è il liminale?
Difficile a dirsi.
Uno spazio liminale, in urbanistica, è una fascia più o meno ristretta di confine tra due aree distinte. Potremmo dire che corrisponde all'archetipo della SOGLIA. Un filtro intermedio tra due spazi, che sono due forme diverse di esistenza. Un individuo posto in una soglia è una sorta di crisalide, sospesa tra due fasi, in piena mutazione.
I maestri della fotografia mondiale hanno saputo cogliere le forme che meglio simboleggiavano questo passaggio dimensionale. L'apporto più significativo è stato quello del nostro Luigi Ghirri, ma non dimentichiamo Guido Guidi.
Il filosofo Carlo Sini ha saputo descrivere quello che accade mentre si è dentro questa soglia.
Il grande pubblico, con particolare riferimento alle nuove generazioni, ha esteso l'utilizzo del termine liminale, arricchendolo di altri riferimenti, più o meno coerenti con l'idea iniziale.
In realtà ognuno ha coniato la sue definizione.
Per uno liminale è uno spazio vuoto, che in quanto tale provoca disagio.
Per un altro è uno spazio che è vuoto (come sopra), ma che dovrebbe essere correlato alla presenza di esseri umani.
La questione si fa più interessante.
Prendiamo un parco giochi per bambini. Non è tale se non ci sono i bambini. Lo scivolo privato dei bambini appare diverso. Se ne era già accorto Luigi Ghirri in tempi non sospetti, in anticipo di decenni rispetto a queste teorie liminali d'"avanguardia". Forse per lui il parco gioco vuoto possedeva un potenziale: era in attesa che potesse accadere qualcosa (e questo era decisamente liminale).
I più oggi trovano che lo scivolo vuoto sia inquietante. E questo si ricollega all'altra categoria estetica emergente: la categoria del disturbante. Piace quello che rende inquietante. Siamo attratti da ciò che ci fa più paura. Ma in questo momento non intendo chiedermi il perché.
Una terza possibilità del liminale è lo spazio abbandonato. Fabbriche abbandonate, ospedali dismessi, cliniche psichiatriche in rovina. La centrale di Chernobyl, con i quartieri adiacenti, è l'icona (culto) degli amanti del genere, pronti ad affrontare un complicato, nonché forse nocivo, pellegrinaggio per vedere e toccare con i propri occhi.
Queste tipiche location, già protagoniste da decenni della cultura del Riuso Urbano, sono ora la scenografia perfetta di quel cinema che viene definito Liminal horror.
Parrebbe dunque che il cinema liminal possa essere circoscritto all'utilizzo di determinate location.
In realtà, giusto per complicarcela, notiamo che c'è uno stretto legame tra ciò che si intende liminale e ciò che si intende Creepypasta: un genere horror (ma non solo) che nasce a livello amatoriale (spesso in appositi forum dedicati) e viene diffuso attraverso un copia ed incolla. Una specie di auto produzione dal basso. Spesso prodotti sono classificabili come New Weird: mischiano horror, fantascienza e paranormale, seguendo l'esempio di quella corrente letteraria anni '90 che si è ispirata più di tutti al genio di Lovercraft.
Unite il liminale ai luoghi abbandonati, al Creepypasta e al New Weird e il gioco è fatto.

Luca Terraneo

#LIMINALE #cinemaliminale #liminalmovies #creepypasta

Oz perkins, il regista di Longlegs, ha già girato The monkey, tratto dal racconto di Stephen King

Uscirà nel 2025 

 




 

#ozperkins #themonkey